Ghiacciao?
NASA/JPL-Caltech/UArizona
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Il ghiaccio può esercitare una grandissima forza erosiva, in particolar modo quando si accumula in spessi strati. Una delle possibili forze erosive su Marte potrebbe essere stata proprio l’azione dei ghiacciai a causa delle bassissime temperature che, mediamente, si aggirano sui -68 gradi Celsius (-90 gradi Fahrenheit).

Il terreno dall’aspetto glaciale è stato riscontrato essere una tipologia molto comune, anche nelle zone montuose alle alte latitudini come lo è ad esempio Protonilus Mensae ripresa nella foto sopra. Questi terreni sono molto simili ai terreni glaciali presenti sulla Terra.

L’immagine qui sopra è un esempio di questi tipi di terreni. La vallata a Nord (vicino alla parte inferiore dell’immagine non proiettata) dovrebbe essere una zona di accumulo di ghiaccio e neve, la quale è successivamente scivolata verso terreni vicini più bassi (parte alta dell’immagine) e più ampi. I segni evidenti di questo movimento sono la miriade di linee e solchi visibili sul terreno. Alcune di queste caratteristiche topografiche potrebbero essere le “morena”, ovvero gli accumuli di depositi lasciati dietro dai ghiacciai.

Sulla superficie di questi terreni sono ben visibili massi di lunghezza superiori ai 3 metri (9 piedi). Se si traccia una linea, partendo da uno di questi massi, che segue le linee dei solchi lasciati nel terreno e possibile risalire al luogo dal quale si è staccato e poi precipitato giù nella posizione attuale. Il processo è tutt’ora in azione anche se i segni non sono più così evidenti.

Una volta che il ghiaccio arriva su un terreno pianeggiante, si espande ed assume la caratteristica forma a bulbo e qui ha inizio la lenta evaporazione. Questa zona è detta “zona di ablazione”. Lo scioglimento dei ghiacciai (invece dell’evaporazione) potrebbe anche aver avuto luogo, ma non sono stati ancora scoperti i segni geologici di questo scioglimento.

Al giorno d’oggi Marte è un posto dal clima molto secco e il ghiaccio è instabile dovunque, ad eccezione dei poli. Qualunque pezzo di ghiaccio lasciato sulla superficie evapora senza sciogliersi, un processo chiamato “sublimaizone”. Tuttavia, il clima del passato potrebbe aver permesso al ghiaccio e alla neve di essere stabili e quindi di raccoglieri in ghiacciai, di centinaia di metri di spessore.

La superfice dell’immagine mostra un terreno composto da regolite (detriti di rocce e sabbia) ma senza alcun segno di ghiaccio. Ad ogni modo del ghiaccio abbastanza puro potrebbe essere presente appena sotto lo strato di detriti. Inoltre il ghiaccio potrebbe anche comportarsi come un cemento che lega tra loro i depositi rocciosi. Questo composto di ghiaccio e rocce potrebbe anche essere capace di muoversi come un normale ghiacciao, in questo caso si parla di “ghiacciao roccioso”. Come ultima ipotesi abbiamo che quello che noi osserviamo oggi è ciò che rimane di un ghiacciao ormai evaporato: detriti e rocce liberate dalla morsa del chiaccio.

Le future immagini stereoscopiche di queste regioni potrebbero aiutare gli scienziati a capire meglio le forze in gioco a cui era soggetto il ghiacciaio. Inoltre qureste immagini ci aiuterebbero anche a valutare meglio lo spessore dei solchi e a ipotizzare la presenza di ghiaccio sotto lo strato di detriti superficiale.

Traduzione: Pasquale Sciarretta

 
Data di acquisizione
04 agosto 2010

Ora su Marte
3:20 PM

Latitudine (centrata)
42.2°

Longitudine (Est)
50.5°

Altitudine della sonda
299.6 km

Scala originale dell’immagine
30.0 cm/pixel (con 1 x 1 binning) e gli oggetti di 90 cm attraverso sono risolti

Scala dell’immagine proiettata:
25 cm/pixel

Immagine proiettata
Equirettangolare (e il nord è su)

Angolo di emissione
7.1°

Angolo di fase
40.8°

Angolo di incidenza del Sole
48°, e il Sole è localizzato 42° sopra l’orizzonte

Longitudine solare
128.2°, estate settentrionale

JPEG
Nero e bianco:
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proiettato  non proiettato

Colori combinati IRB:
proiettato

Colori combinati RGB:
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Addenda
Il Jet Propulsion Laboratory della NASA dirige la sonda MRO. La fotocamera fu costruita da Ball Aerospace & Techologies Corp., e il suo progetto è realizzato dall’Università dell’Arizona.